INTERVISTA CON EDOARDO PASTEUR

Abbiamo contattato EDOARDO PASTEUR che ci ha raccontato il nuovo disco "Dangerous Man", ci ha raccontato le nuove canzoni, ci ha introdotti nel suo mondo musicale, ci ha spiegato le sue influenze musicali, i progetti futuri e molto altro.

Buona lettura

EDOARDO PASTEUR1.Chi è EDOARDO PASTEUR secondo EDOARDO PASTEUR?
Parlando di me in prima persona, per non cadere nel difetto dei veri grandi (da Maradona in giù…), sono una persona che ha vissuto e vive molte vite. Studente disattento e svogliato, poi lasciata la scuola gran lavoratore, partendo dal basso sono arrivato piuttosto in alto nel mio settore di business (che non cito, per discrezione), diciamo che in questo campo mi sono tolto alcune soddisfazioni. Grande family man, ho una moglie e quattro figli molto amati. Appassionato sportivo, per alcuni anni mi sono dedicato alle maratone, grazie alle quali ho girato il mondo con la mia famiglia. Molto tardivamente – non so se sia stato un bene o una sfortuna – mi sono dedicato ad attività più creative, la scrittura e la musica. Eccomi quindi storyteller e songwriter. Da storyteller ho avuto la piccola grande soddisfazione della pubblicazione di un racconto breve, una storia di montagna che ho scritto per divertimento anni addietro finita casualmente nelle mani di un editore, che con mia sorpresa lo ha dato alle stampe. Da songwriter, faccio quello che mi piace, racconto storie, sogni ed emozioni, accompagnato dalla mia chitarra. Tutto è nato per gioco, poi ha preso forma, e con l’aiuto di valenti musicisti sono riuscito a completare il mio primo album, Dangerous Man. Di cui vado maledettamente fiero…

2.Come definiresti la tua musica? Se dovessi dare tre aggettivi alla tua musica, quali sceglieresti?
Credo che la mia musica possa rientrare nel grande filone del rock americano. Forse è una definizione un po’ vaga e retrò, ma a piace pensarla così. Mi è stato di grande ispirazione Bruce Springsteen, sia per quanto riguarda la musica sia per la mia formazione come persona. Sembrerà strano ed esagerato, ma i seguaci del Boss capiranno… Vi sono poi altre fonti di ispirazione, ma il filo rosso che caratterizza tutti quelli che hanno influenzato il mio lavoro è dato dalla capacità di raccontare storie, di toccare l’immaginazione dell’ascoltatore. Un esempio è Robbie Robertson, chitarrista e principale songwriter di The Band, che mi piace – stranamente – non tanto per i fasti del tempo glorioso in cui accompagnava Bob Dylan, ma per la fase successiva e meno nota della sua carriera “solo”, quando ha scritto piccole gemme come Ghost dance e Showdown at big sky. Roba di nicchia, ovviamente, ma io sono curioso e cerco per strada roba non necessariamente parte del mainstream… Tre aggettivi che definiscano la mia musica? Appassionata, suggestiva, mai banale, almeno spero!

3.Ascoltando il tuo ultimo lavoro ci si ritrova coinvolti in un vortice di melodie da cui è difficile uscirne. Innanzitutto: Come mai questo titolo? Come è nato questo lavoro? Quali sono le idee che sono alla base delle canzoni che lo compongono?
Il titolo dell’album Dangerous Man è anche il titolo di uno dei tredici pezzi; è stato ispirato dalla lettura di una pagina di T.E. Lawrence, da tutti conosciuto come Lawrence d’Arabia, che scriveva che tutti gli uomini sognano, ma lo fanno di notte, solo poche persone sognano di giorno, e quelle sono persone molto pericolose… Questo pensiero mi era piaciuto e ho immaginato di dedicare un pezzo ai liberi pensatori, gente pericolosa da cui bisogna stare alla larga… Anche altri brani hanno avuto ispirazione da opere letterarie, come ad esempio Carry the fire, che paga un debito a The roaddi Cormac McCarthy, e Child of the storm, che contiene richiami a pagine di Salinger e Erri de Luca. Altri pezzi come Big Fish e Hey hey you sono dedicati a cult movies (il primo all’opera omonima di Tim Burton, il secondo a I guerrieri della notte di Walter Hill). Vi sono poi pezzi che debbono ispirazione all’attualità, come Brothers, dedicata ai ragazzi colpiti dalla tragedia del Bataclan nel Novembre 2015, e Whatever it takes, che canta in prima persona la prospettiva di coloro che attraversano i mari, figurati o meno, in tutti i tempi e in ogni parallelo. Infine, qualche piccola sceneggiatura, omaggio al cinema che tanto amo, come Let it rain e Princess Gaze, e un’invettiva contro coloro che vogliono rubare i nostri sogni, con I got a name.

4.Ascoltando le canzoni del disco emergono dei colori vocali molto particolari, molto intensi ed eleganti. Che peso ha la vocalità nei tuoi brani rispetto alla musica o al testo?
Non sono un cantante per formazione, non ho fatto studi particolari e mi sono messo a cantare con lo stesso coraggio temerario di chi si mette a sciare senza aver fatto scuola, approfittando solamente di buone gambe e della forza di gravità. Chi pratica lo sci sa che buone gambe e una bella discesa non bastano… Tuttavia sono un testone, avevo questo materiale per le mani, che mi stava molto a cuore. In un mondo ideale, avrei dovuto bussare alla porta di qualche grande interprete, per fargli cantare la mia musica (immaginate il Boss che canta Brothers o I got a name…), ma il mondo perfetto non esiste! Come dicevo, sono un testone, e ho deciso allora di metterci la faccia fino in fondo, cantandomela io la mia musica… La cosa tra l’altro mi è piaciuta assai, anche perché credo sia giusto che chi ha dei sogni, delle sensazioni, delle emozioni, sia lui stesso a doverle esprimere.

5.Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto lavorando alacremente al mio secondo album, ho un sacco di materiale pronto e ahimè dovrò fare qualche scelta dolorosa, escludendo qualche pezzo da questa puntata della mia carriera artistica. Purtroppo o per fortuna ho una vena compositiva piuttosto ricca, e continuo a scribacchiare qua e là delle cose, che piano piano prendono forma. Tra l’altro è una cosa bellissima, una grande soddisfazione vedere realizzate le proprie prime ispirazioni, buttate giù con la chitarra e un pezzo di carta, vedendole poi crescere piano piano fino a divenire un lavoro finito. Una piccola magia.

6.Musicalmente parlando, qual è il tuo sogno nel cassetto?
Non ho particolari aspirazioni, salvo quella di continuare a fare questo lavoro (che lavoro non è…) con passione. È evidente che tutti noi che esprimiamo qualcosa di artistico abbiamo l’aspirazione di essere ascoltati, facciamo le cose per noi stessi ma anche per regalare emozioni a quanta più gente possibile, anche se oggi l’industria della musica è assolutamente chiusa a qualsiasi forma di investimento su nuovi talenti che escano dal solco tipico del mainstream commerciale e del marketing. In ogni caso, per carattere non amo le lamentele e credo che tutti noi in tutti i campi otteniamo quello che meritiamo, in base al nostro talento e al duro lavoro. Parafrasando il calcio, credo che a fine campionato le fortune e le sfortune si bilancino, e che chi arriva in cima lo faccia con merito. Naturalmente so che non è vero, la fortuna conta eccome, ma non lo ammetterei neanche sotto tortura, perché rischierebbe di diventare un alibi… quindi ci si arrotola le maniche della camicia e si lavora!

7.Se dovessi consigliare tre band contemporanee, quali sceglieresti?
La verità? Non sono un grande ascoltatore di musica contemporanea… la mia vita è – per fortuna – parecchio piena, tra il lavoro con cui sbarco il lunario, la famiglia, la mia musica, e qualche altra cosa che mi appassiona, come il cinema e i viaggi. Sono quindi rimasto ai miei vecchi eroi, Bruce Springsteen, gli Stones, Leonard Cohen, Robbie Robertson, e qualche altra vecchia gloria che i ragazzi di oggi leggono sui libri di storia… Ah ecco, se devo aggiungere un nome ho scoperto da poco un fantastico cantautore italiano, Claudio Roncone, appartenente alla “nuova scuola genovese”; sconosciuto ai più, e sconosciuto non in quanto di modesto valore ma perché per sua scelta non pubblica album… Gli piace lavorare dal vivo nei teatri, e stiamo preparando assieme un concerto, che in pratica vedrà il mio esordio live! Molto fiero di lavorare assieme a lui, ed emozionato!